Il movimento, dall’underground al queer al MIT
MAMBo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
11 novembre 2022 – 8 gennaio 2023
a cura di Michele Bertolino
con la collaborazione di: MIT – Movimento Identità Trans, Divergenti – Festival internazionale di cinema trans, Archivio storico del MIT
Tra le pieghe della carta sdrucita ci sono mille vite, mille voci. Porpora Marcasciano si è fatta attraversare dal movimento del ‘77, dai collettivi froci, dalle lotte delle persone trans, percorrendoli. Le tracce di quelle storie si sono via via coagulate e Bologna ne era spesso il collante – o la dopamina, perché in tutta Bologna c’è un via vai di compagni. Bologna WOW. (P. Marcasciano sull’Agenda Rossa, 1977)
Il trasferimento in città avverrà solo alla fine degli anni Ottanta(voglia), ma già nel decennio precedente è qui che si squarcia un velo di repressione: il movimento aveva conquistato via via alcuni spazi, marciapiedi, ba/checche.
Non solo Autonomia Operaia e il movimento studentesco, che anzi solo a parole si autodefinisce movimento di tutti gli emarginati dalla società capitalistica ma che nei fatti ripropone all’interno delle sue strutture i meccanismi discriminanti del potere (Collettivo frocialiste bolognesi, 1978), ma anche il Narciso, il collettivo frocialiste bolognesi e la militanza nel MIT nazionale. Nel ‘78, ‘80 e ‘82 a Bologna vengono organizzate le giornate dell’orgoglio omosessuale in piena luce. Sono gli anni in cui il movimento frocio, che si è allontanato dal FUORI ormai federato con il partito Radicale, fiorisce – Cento collettivi entro l’anno – e l’incrocio politico come compagno frocio, o meglio frocio compagno (P. Marcasciano in «Lotta Continua», 14 febbraio 1980) si fa deviatamente queer. Così la transessualità è innanzitutto lotta rivoluzionaria perché per esempio nessuna più di noi è consapevole del fatto che ogni individuo ha il diritto di esistere di per sé, che nel mondo non c’è il bianco e il nero, ma dal bianco al nero mille sfumature (G. Parenti in «Lucciola», n.3, gennaio 1984).
Come se fosse disegnata una sorta di mappa stravagante che promette qualcos’altro. Tra i fiori, le colature, le architetture del corpo trasuda il respiro di un’esperienza di vita: su di esso dormiamo, vegliamo, combattiamo, vinciamo e siamo vinti, cerchiamo il nostro posto, conosciamo le nostre inaudite felicità e le nostre favolose cadute, penetriamo e siamo penetrati, amiamo (G. Deleuze e F. Guattari, “Mille piani”, 1980).
Per questo i disegni non solo sono annodati con le vicende politiche o ne sono debitori, ma le riassumono facendole traspirare: le conservano nei loro orpelli e nella loro storia. C’è un disegno del 1982 dove tra le maschere è incollata la foto di un pompino: venne rimosso quando esposto durante un festival al Parco della Montagnola quello stesso anno, altri furono esposti a Palazzo di Re Enzo durante le giornate dell’orgoglio omosessuale. Per questo Non sono dove mi cercate non può che essere plurale, provando a intrecciare una pagina di diario dove creatività psichedeliche, sessi anarchici, felicità radicali e utopie colorano le interlinee, animano i verbi e i rumori attraversano i corpi. Ce n’est que un début, continuerons compats (P. Marcasciano sull’Agenda Rossa, 1977).
Michele Bertolino