Fantasia al potere
di Massimo Marino
Corriere della Sera – Ed. Bologna
17 dicembre 2011
Non capisci se è l’epopea di una comunità reale, del passato, o la cartina al tornasole di una comunità virtuale, di oggi. Da due giorni è arrivato nelle librerie I Ragazzi del ’77, un libro di più di 5oo pagine, con 1272 foto, tantissime didascalie che «taggano» i volti di quell’anno di rivolte, ferite, lutti e creatività, e molti pezzi scritti oggi. Il suo autore è Enrico Scuro, il fotografo di quel movimento ormai lontano. Lui, di questo oggetto, dice semplicemente; «E’ qualcosa che non esisteva ancora». Probabilmente è il primo «libro Facebook»: non solo perché tutti i materiali, foto, nomi, commenti, si sono accumulati in pochi mesi sul suo «profilo». Marzia Bisognin, collaboratrice di Scuro per l’edizione, scrive: Ci si è ritrovati in piazza, per così dire, per fare un rammendo collettivo alla memoria».
E la piazza a cui si riferisce non è quella delle manifestazioni, degli scontri, dell’ironia, degli spettacoli, degli incontri e dell’affettività diffusa di tempi ormai lontani ma quella nuova, virtuale, nella quale tutti navighiamo e dove alcuni cercano di riannodare fili spezzati. Scrive l’altro collaboratore del libro, Paolo Ricci, uno dei fondatori di radio Alice: «A guardarle oggi, queste foto “antiche”, ci raccontano la Storia di una volontà di mantenere fede a un principio comune che sta alla base e tiene insieme quel raggruppamento eterogeneo che abbiamo sempre chiamato “il movimento”. Un principio vitale, che certamente si declina in un infinito senso di libertà, in un mai appagato bisogno di giustizia».
Questo viaggio nasce nel febbraio scorso, quando Enrico Scuro pubblica su Facebook una foto dello spettacolo di Dario Fo che concluse il convegno contro la repressione nel settembre del 1977. Si vedono il comico in piazza VIII Agosto e una miriade di teste. In tantissimi iniziano a taggarsi, come a dire: «Io c’ero». Allora Scuro pubblica altre foto, varie centinaia. E iniziano i commenti le discussioni accese. Lo scandaglio nella memoria. Traspare la nostalgia, certo, ma anche la voglia di chiedersi: «Quanti eravamo allora! Perché eravamo là? Cosa ci muoveva? Dove ci troviamo oggi?». I «taggatori» ricostruiscono faticosamente nomi dimenticati, situazioni lontane, cercando di interpretarne il senso. Si cercano i dispersi e si scopre, magari, che quel Mario Chessa con la bandiera rossa al vento è diventato Dom Ildefonso dei padri Olivetani di Santo Stefano. Si fa il conto dei morti. Si ribadiscono posizioni e scelte di allora, cercando di dimostrare che non sono state dimenticate. Si sfoga, pure, il narcisismo depresso di quell’ultima generazione di baby boomers prima di varie crisi. Arrivano a Scuro altre foto, tirate fuori dai cassetti. Immagini e parole vanno a ricomporre un pezzo di storia, il ritratto di una generazione colta nello slancio del sogno e della rabbia che si scontra con la realtà in modi differenti.
In rete si accumulano album su album. Narrano la fondazione di Radio Alice, le manifestazioni e le feste, l’occupazione dell’Università, l’uccisione di Francesco Lorusso, gli scontri, gli incarceramenti, le proteste durate vari mesi, ma anche la musica, il teatro di strada, i murales, i viaggi, Umbria Jazz e le feste di parco Lambro, l’India e il Marocco, gli affetti, i riccioli, gli zoccoli, le gonne a fiori, il femminismo, le case porti di mare e luoghi di esperienze altrettanto importanti di quelle politiche, i fumetti di Scozzari e Pazienza, la musica dei Gaznevada e degli Skiantos. Fino alla conclusione di tutto, dopo il sequestro di Aldo Moro, l’accentuarsi dello scontro tra stato e terrorismo, l’irruzione dell’eroina Forse fino al compimento degli studi e all’entrata nelle necessità della vita.
Quel «romanzo» collettivo online ora è stato trasferito sulla carta, grazie a due editori bolognesi, SonicPress e Baskerville. Il libro circoscrive gli anni a quelli dal 1976 al 1978, quando Bologna fu comunque centro di un esperimento politico ed esistenziale, vitale e controverso. Scrive Dom Chessa, in un post pubblicato nel capitolo di apertura: «Eravamo sicuramente giovani, adolescenti e pieni di immaginazione, di voglia di fare. La rivoluzione ci sembrava dietro l’angolo … Siamo stati, ma il tempo è andato avanti e si è svelato e rivelato … Siamo stati ma adesso siamo il risultato di quello che eravamo, la somma delle nostre emozioni, dei nostri sogni, delle nostre certezze». Non importa se i capelli si sono incanutiti, se le facce di ragazze e giovanotti si sono coperte di rughe, i cuori di delusioni. Nel capitolo finale, Ritorno al futuro, dopo un cammino accidentato dai dubbi e illuminato dalla voglia di ritrovarsi, Ricci scrive: «Credo che il lavoro di questo momento sia proprio cercare di capire quel che della nostra esperienza di quegli anni era davvero buono, succoso, vitale, separarlo degli errori e dagli orrori, e portarlo nuovamente alla luce». Oltre la nostalgia.
I ragazzi del ’77
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