Immagini di un anno
blog di Valentina Lucio
luciovalentina.wordpress.com
5 luglio 2007
Sfogliando nuovamente bologna marzo1977…fatti nostri… voci e fotografie si intrecciano come fili di una ragnatela che ci trainano dentro quella che, nell’articolo su La Repubblica del 21 giugno 2007 viene definita da Alberto Asor Rosa la favola di una generazione . Le immagini sono essenziali, ci aiutano ad entrare attraverso frammenti, schegge di realtà in uno scenario più complessivo che deve essere osservato, per essere compreso da punti di vista diversi. Enrico Scuro, rispondendo ad alcune domande che gli abbiamo posto, dice citando Sandro Toni:
“Esistono fotografie che riproducono la realtà, foto che la occultano, foto che la creano. Ebbene, mi sembra di essermi trovato ben poche volte di fronte a un insieme di fotografie che producano in modo così totale, così tangibile, violento anche, il senso della realtà…..
…l’allegria delle due ragazze giocata contro il potere, la derisione contro le armi da guerra della polizia, l’invenzione dei murales contro i gas lacrimogeni, il non-sense contro la logica. Nelle foto i rapporti di classe, il senso degli scontri, le parti, le ideologie, i desideri sono evidenziati, dichiarati.”
Le fotografie che, una dietro l’altra, documentano ciò che è stato il 1977 a Bologna, in realtà ci pongono davanti ad istanti, attimi che stanno per svolgersi o che si stanno svolgendo. Ciò che si percepisce è l’attimo quasi sospeso, o meglio l’attesa di qualcosa che sta per accadere, che ora è storicamente già successo, ma che in realtà nell’istante in cui viene colto non è ancora avvenuto. Questo senso di proiezione verso un dopo negato fa sì che veniamo “scaraventati” direttamente in strada in mezzo al fumo, alle barricate, alle urla, agli spari, al frastuono, ai cortei, ai girotondi, alle risate, alle voci…Le immagini testimoniano lo “star per” succedere qualcosa, e, ad un tempo, coinvolgono talmente che sembrano far parte da sempre della nostra memoria personale, per cui ci appaiono quasi familiari, scene che potremmo aver vissuto o per lo meno abbiamo già conosciuto attraverso gli organi di informazione. Ma, d’altra parte, è anche come se ci dicessero di non farci trainare dal tempo della storia che esse rappresentano, rischiando di farci fossilizzare solo su un aspetto, poiché “spetta alle immagini il potere specifico di rendere visibile ciò che la storia genera al di là di se stessa” .
Oggi, dopo trent’anni, di fronte a questi scatti colti per strada da fotografi che, come “cani sciolti”, potevano intrufolarsi ovunque, ci si pongono molte domande, siamo messi di fronte a diverse sfaccettature di una storia, è come se noi fossimo presenti, anche se, in realtà, il nostro è, forse, un occhio più da voyeur perché in fondo possiamo solo intuire ciò che stava succedendo. Tornando alle fotografie presenti nel libro sopra citato, dopo aver scorso le immagini di scenari paragonabili a quelli di una città sotto assedio, ci si ritrova, in un paio di pagine, in mezzo ad un girotondo di ragazze sorridenti capeggiate da quella che, forse, può essere definita la mascotte della rivolta studentesca: il drago.
Le manifestazioni, i cortei per strada, radio Alice, le varie riviste e i collettivi sono gli strumenti attraverso cui il movimento si faceva sentire. Marco Belpoliti parla di carnevale a Bologna, le immagini più ricorrenti sono infatti quelle di grandi cortei di giovani che si esprimono attraverso slogan e performance teatrali; maschere e travestimenti sono l’aspetto più gioioso di quel 1977. Catene di ragazzi con facce dipinte di bianco, clown, avanzano per la strada, sembrano mimi, attori di una festa dei folli come definisce l’autore stesso questo carnevale. I giovani entrano nella città, si insinuano nelle strade, vogliono occuparla, sono scesi in strada per conquistarla, il loro ingresso mi ricorda l’opera pittorica di J. Ensor L’ingresso di Cristo a Bruxelles 1888-1889. La folla composta in gran parte da maschere e figure grottesche e una banda in uniforme attendono Cristo, un corteo di persone che invade lo spazio fino all’orizzonte, un corteo di fantocci statici in festa; ovviamente il contesto e la storia di questo dipinto sono completamente diversi dalle fotografie che prendiamo in esame. Si trova però una somiglianza interessante, sicuramente i pupazzi di Ensor sono una critica ad una società che priva i cittadini delle proprie idee, controllandoli dall’alto, nel nostro caso è come se il quadro ed i suoi attori prendessero vita, è come se la situazione si ribaltasse, come se ci si opponesse al controllo e tutto diventasse movimento: i pupazzi si animano, prendono coscienza di sé, si uniscono per far entrare il loro corteo in città e la banda militare in uniforme diviene la radio di tutti.
Giovani studenti delle università della città, in particolar modo quelli del Dams, crescono e plasmano la loro esperienza nei laboratori di arte e di teatro, così da un corso tenuto proprio in quegli anni da Giuliano Scabia nasce il Teatro e informazione. Esperienza di contro-informazione per le strade di Bologna, una sorta di teatro vagante capitanato, in seguito, dal drago, maschera di cartone che apre solitamente i cortei, che divengono quasi un rito sciamanico; gesti, trucchi e travestimenti sembrano quasi voler esorcizzare le strade di Bologna. Franco Berardi (Bifo) nella Postfazione del libro di Klemens Gruber Comunicazione e strategia nei movimenti degli anni Settanta afferma: “difficile trasformare la vita quotidiana librandosi leggeri come parole sussurrate: vieni con me, abbandona la linea di montaggio. Difficile perché il potere dei grigi ottusi pericolosi non lascia facilmente che il possibile si liberi dall’esistere” .
Il drago, dunque, è in testa al movimento, un movimento che cerca di trovare un altro modo possibile, così viene ripresa come figura di movimento Alice, l’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. La bambina fa vedere un gioco alternativo, un nuovo possibile che può, come dice Belpoliti, far nascere “[…] un altro modo di circolare. A lato dei giochi dei maschi […]”. Cercare un possibile altro nella quotidianità, nel linguaggio, nei media ha dato vita ad una sorta di laboratorio così nelle strade attraverso gli slogan, le radio, le riviste, come A/traverso, sono stati trasmessi ideali che avevano alla base intellettuali e movimenti come Majakovskij, Artaud, Guattari, Deleuze, il dadaismo…il non-senso, lo scandalo la provocazione divengono strumenti per un linguaggio dinamico, veloce, aggressivo.
Ripensando alle fotografie non è difficile immaginarsi una colonna sonora di voci, come quelle degli slogan o delle telefonate in diretta da radio Alice; nulla è filtrato tutto a/traversa Bologna. Un’invasione di nuovi segni, parole che si uniscono in un linguaggio che tenta di creare nuove realtà, nel 1978 Bifo scrive “il linguaggio è la totalità dei fatti del mondo” , la comunicazione non deve più bloccarsi a evocare il mondo, deve sovvertirlo, deve liberare, aprire le menti. Radio Alice è stata la voce che ha accompagnato il movimento; una telecronaca continua in diretta si è estesa e si è diramata in tutta la città, una radio libera di parlare, di giocare con il linguaggio e di sporcarlo. Inizia quella che Umberto Eco definisce guerriglia semiologia la cui tecnica consiste nel proporre un messaggio, rendendolo soggetto a diversi modi d’interpretazione, di discussione, ciò che viene detto può essere interrotto e il suo senso invertito, come messaggio alternativo che cerca di frenare il bombardamento dei mass media.
La fotografia in tutto ciò che ruolo ha? Credo, avendo anche sentito la voce di Enrico Scuro, che in quel periodo una fotografia forse aveva un valore di una prova come testimonianza di quello che accadeva; in un’immagine ci sono volti e azioni che possono essere riconosciuti. Lui stesso dice che ha incominciato a fotografare perché c’è stata una concomitanza di fatti: era uno studente, faceva parte del movimento e in quel periodo iniziava ad usare la macchina fotografica. Il suo ruolo, simile ad un fotoreporter, è stato anche quello di chi ha partecipato in prima persona, che, ora, di fronte ad una delle sue immagini ricorda ciò che è avvenuto, ciò che è stato e cosa è successo dopo, le sue fotografie non sono distanti, ma sono dentro la realtà. I protagonisti del ’77 non sapevano ancora che cosa sarebbe diventato il ’77, erano immersi un flusso caotico; forse dopo trent’anni un’immagine può voler dire qualcosa di più. Sicuramente, adesso ci poniamo di fronte con uno sguardo consapevole di fronte a quello che è successo, ormai noi sappiamo che cos’è stato il movimento studentesco degli anni Settanta, allora le fotografie forse davano informazioni, oggi possono raccontare una storia, forse.