La memoria dei ragazzi del 77
Bruno Giorgini
Inchiesta.it
27 gennaio 2012
Guerra e Pace, racchiuso tra le mura della vecchia Bologna
Il 27 gennaio del 1945, sessantasette anni fa, l’Armata Rossa spalancava i cancelli di Auschwitz liberando da un orrore oltre il dicibile i pochi scheletrici corpi sopravvissuti al genocidio teorizzato, organizzato, perpetrato dai nazisti. Quella data viene oggi ricordata nel giorno della memoria. Dalla seconda guerra mondiale uscì un impegno, che diventò anche uno slogan per le persone della mia generazione, nate a pace appena fatta: mai più Auschwitz, mai più guerra.
Ma oggi non parlerò di quei lontani tempi, bensì del movimento del ’77, nella convinzione che anch’egli sia figlio di quell’impegno che giova ripetere perché non è scontato: mai più Auschwitz, mai più guerra. La memoria del ’77 è stata fino a ora spezzettata, spesso stravolta, oppure trasformata in retorica quando non ideologia, ovvero: falsa coscienza.
Si sono scritti molti libri, pubblicate molte interviste, sparpagliati video ma personalmente mi sono sempre sentito a disagio, quando non amareggiato. Qualcosa veniva sempre travisato, se non usato a fini politici, per affermare la propria esistenza ancora sulla scena o per attivare polemiche stantie di ciò che fu, oppure per rilanciare lo stereotipo degli anni di piombo, dei cattivi maestri, dei provocatori e quant’altro: tutto il liquame.
Poi è arrivata da un posto magico la memoria a tutto tondo del meraviglioso, letteralmente: che destò meraviglia, movimento del ’77. Una memoria colorata come un prisma che scompone la luce bianca in un arcobaleno girando pagina dopo pagina del libro “I ragazzi del ‘77”, stupenda narrazione finalmente densa di verità e di vita, di politica e d’avventura, e col dolore per la morte di Francesco che si staglia nitido ma non incarognito, direi puro, se non temessi la parola.
Sfogliandolo ridiventiamo tutti giovani, io non lo ero già più al tempo, e pieni di futuro, e vogliosi di libertà, nonché rivoluzione, una voglia che oggi ci vuole, è necessaria per far fronte alla crisi di civiltà capitalistica, e forse oltre, che ci attanaglia e disfa corpi sociali, generazioni, speranze, vite. Per far fronte alla brutalità della finanza internazionale, a questo cancro che ha dichiarato guerra alla comune degli umani.
È una storia di immagini e parole che Enrico Scuro ha composto, con la collaborazione di molte/i altre/i, se dovessi fare un paragone, e senza scherzi, direi Guerra e Pace, racchiuso tra le mura della vecchia Bologna. Fu un vero peccato e una immensa imbecillaggine che il popolo del PCI, per i suoi dirigenti poco mi dolgo, e la maggioranza dei cittadini non cogliessero la ricchezza creativa di quel movimento, sarebbero stati più felici e liberi questi bolognesi che d’allora in poi sono andati rincagnandosi e inacidendosi, raggrumati nei loro pregiudizi, senza nulla idea e ancor meno ideali. Nemmeno di riforma, alcuna. Imbeni tentò di capirci qualcosa in quello strano movimento, ma fuori tempo massimo.
Però anche questo oggi non ha più importanza, e nel libro di Enrico tutti i torrenti, tutti i rivoli, tutte le acque che confluirono a formare il grande fiume compaiono, stanno lì, si muovono, già sono fotografie, immagini che dovrebbero essere per definizione fisse, ma loro si muovono e ti parlano; insieme e in sequenza compongono un film, da cui una volta cominciato non riesci a staccarti. Infine un libro, un film, una narrazione che spazza via- era ora- tutte le diatribe sul ’77 violento, e cupo, non perché le contesti, semplicemente perché non c’erano, non ebbero diritto di esistenza, non erano vere.
Dalle pagine del libro sgorga la vita, politica, sociale, individuale, di gruppo, dei maschi, delle femmine, dei più giovani e dei meno, e questa vita è così ricca che irrora, irriga, anche la morte, la terribile morte di Francesco, fucilato da un carabiniere. Così questo libro ricostituisce donandocela la verità, che, come ci insegnavano da piccoli, è rivoluzionaria.
Un’ultima cosa, discutendo una volta con Toni Negri, egli ebbe a dirmi che il ’77 bolognese era stato un’opera d’arte, cioè irriproducibile, quindi non una azione politica né tantomeno fonte di una scienza politica. Ci sarebbe molto da obiettare, ma, seppure non so se il ’77 sia stato un’opera d’arte, certamente lo è “I ragazzi del ‘77”, sottotitolo: una storia oggi condivisa su facebook, ieri nelle strade che chissà, potrebbero tornare a riempirsi quando meno ce lo si aspetta.
I ragazzi del ’77
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