Good design is making something intelligible and memorable. Great design is making something memorable and meaningful.
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Frutto di una collaborazione tra Musinf – Museo Comunale d’Arte Moderna, dell’Informazione e della Fotografia, Fondazione Senigallia e CAMERA, una serie di eventi dedicati alla fotografia accompagneranno il festival annuale della trasmissione radiofonica RAI Caterpillar, il ‘Caterraduno’, in programma per la fine di giugno a Senigallia.
In occasione della manifestazione, il 27 e 28 giugno vedranno la partecipazione di CAMERA a una serie di incontri aperti al pubblico ideati da Carlo Emanuele Bugatti (Direttore di Musinf) e Lorenza Bravetta (Direttore di CAMERA), che si terranno nello storico Palazzo del Duca di Senigallia.
Forte di esperienze di rilevanza storica come quelle del Gruppo Misa e di Mario Giacomelli, Senigallia è da sempre sensibile ai temi della fotografia, che trovano ampio spazio nella programmazione culturale del Musinf grazie a una fitta agenda di workshop che spaziano dalle antiche tecniche di stampa al fotogiornalismo.
La presentazione dell’archivio e del libro I Ragazzi del ’77 agli incontri di Senigallia con Lorenza Bravetta e Emanuele Bugatti
in occasione di REUNION. Primo Raduno Mondiale dei Laureati Università di Bologna
Bologna, Portici dell’Archiginnasio, 19-21 giugno 2015
“150 anni di storia dell’Alma Mater”, allestita sotto i portici dell’Archiginnasio: dai momenti ufficiali dell’Ateneo alle feste degli studenti, dalle cerimonie di laurea alle lotte per la contestazione, una carrellata di volti e situazioni che raccontano le storie di vita che l’Università di Bologna racchiude e accoglie. Vite di uomini e donne che in città hanno spiccato il volo presi nel momento più formativo e allo stesso tempo spensierato della loro esistenza.
Premio Nazionale di Storia Contemporanea “Luigi Di Rosa” – Premio alla carriera
Fotografia Europea 2015 – Circuito Off
REGGIO EMILIA, Androne Sant’Agostino, 16 maggio 2015.
a cura di Roberta Ricci
UNSHAREABLE parla della censura di immagini di nudo degli anni settanta nei social network di oggi. Condividendo le mie immagini anni settanta su Facebook mi sono ritrovato censurate immagini di nudo realizzate a Parco Lambro nel 1976. Solo una linea verde ha permesso di visualizzarle di nuovo. Immagini che appartengono alla storia del costume divenute oscene. Con la linea verde o senza?
“Un ragazzo di vent’anni girava con la sua macchina fotografica al collo negli anni ’70, studiava al DAMS, aveva sete di vita e di esperienze e si sentiva partecipe della storia che viveva e fotografava assieme.
Per molto tempo non ha più osservato le sue immagini, poi, un giorno, si è ricordato di loro e le ha pubblicate su Facebook. Le sue fotografie in un sol colpo hanno fatto il giro del mondo ed hanno aggregato tutte quelle persone che raccontavano a figli e nipoti ciò di cui erano stati testimoni in un’epoca di speranze.
Poi, un giorno, si trova censurato da Facebook per le sue immagini, censura che lui esaspera tracciando una riga evidente per fare capire la violenza e l’arbitrarietà. I social network sono una grande occasione per parlare assieme ed esprimersi con libertà, una libertà non lesiva per gli altri, sempre relativamente al concetto che siamo tutti in un acquario delle cui acque non siamo proprietari.
La censura non solo è inopportuna, non cancella solo dei bellissimi e giovani corpi così ardenti di aspirare ad un futuro migliore, ma è una cancellazione di un impeto e di una forza che esce dalla documentazione che diventa anche emozione.”
Roberta Ricci
Fumettology – I Miti del Fumetto Italiano
RAI 4 – 2014
ideato, prodotto, scritto e realizzato da FISH-EYE Digital Video Creation con la consulenza di Alessio Danesi (della Rw-Lion Comics).
Il programma (in due parti) è scritto da Alessio Guerrini e Clarissa Montilla, per la regia di Dario Marani.
Tra i fumettisti italiani più talentuosi di sempre, Andrea Pazienza (1956-1988) ha esordito nel 1977, a soli 21 anni, con Le straordinarie avventure di Pentothal, in cui mostra le contraddizioni della sua generazione sullo sfondo di una Bologna in piena agitazione studentesca. Lo stile anarchico, che contraddistingue il tratto e la scrittura di questa sua prima opera, si rivela successivamente nelle strisce pubblicate sulle riviste Il cannibale e Il male. Nel 1980 fonda il mensile Frigidaire, sulle cui pagine dà vita a Zanardi, quasi un suo alter ego, disilluso liceale senza sogni e ideali, perennemente annoiato, capace solamente di compiere cattive azioni con gli amici Petrilli e Colasanti. Seguono nuovi iconici personaggi come Francesco Stella, L’investigatore senza nome e soprattutto Pert, trasposizione bonariamente ironica del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel 1985 è la volta dell’eroinomane Pompeo, ritratto tragicamente ne Gli ultimi giorni di Pompeo (1987), il libro più maturo di Pazienza che, per una singolare e crudele coincidenza tra vita e opera d’arte, diventa il suo testamento letterario: l’autore muore per overdose nel 1988, a 32 anni.
BOLOGNA – Palazzo d’Accursio
5 – 31 agosto 2014
A cura dell’associazione U.F.O – Unione Fotografi Organizzati
Un racconto per immagini della storia musicale della città realizzato in più di trent’anni di attività.
Il ruolo centrale riservato alla musica, dato dal prestigioso riconoscimento di Bologna Città della Musica Unesco che celebra la ricca tradizione musicale e la vivacissima scena del presente, viene qui sottolineato attraverso le tante immagini di artisti italiani e stranieri scattate dai numerosi fotografi dell’associazione durante le loro esibizioni in città.
Nella mostra sarà possibile vedere alcune fotografie dei grandi della storia del rock, da Jimi Hendrix al Palasport di Bologna il 26 maggio 1968, a Joe Cocker con la band Mad Dogs & Englishmen, da Patti Smith e Lou Reed in concerto allo stadio di Bologna a Bob Dylan al Centro Agroalimentare di Bologna in onore di Papa Giovanni Paolo II, fino ai Public Enemy al Made in Bo’ nel 1994.
I fotografi di U.F.O sono: Sandro Beccari, Luca Bolognese, Walter Breveglieri, Nicola Casamassima, Paolo Ferrari. Luciano Nadalini, Michele Nucci, Enrico Scuro, Gilberto Veronesi e Roberto Villani.
Fratelli Minori
cortometraggio di Carmen Giardina
Anno di produzione: 2013
Durata: 20′
Fotografie nei titoli di testa creati da Sergio Gazzo (foto di Enrico Scuro e Associazione Casa Memoria Impastato)
Il 9 maggio persero la vita a poche ore di distanza uno dall’altro Aldo Moro e Peppino Impastato. La notizia della morte di Moro offuscò del tutto la scomparsa di Impastato ma per i tre giovani protagonisti, militari di leva impegnati in un posto di blocco, proprio quella morte sarà l’occasione di una drammatica presa di coscienza e di una simbolica ribellione.
Cliccando qui puoi vedere FRATELLI MINORI su RAI CINEMA CHANNEL
“C U R I O S I L O C A L I“
4 serate sul tema:
Nuove forme comunicative nella produzione Culturale Bolognese, nei libri, nei film, nel teatro, nel web
1 – Serata
11 marzo ore 18.30 – 20.00
Centro Civico Lame “Lino Borgatti”
via Marco Polo, 51
Presentazione del libro Web / fotografico – I ragazzi del ’77
con la presenza degli autori
Marzia Bisognin e Enrico Scuro
Presenta Luca Alessandrini
(Istituto Parri)
Conduce Stefano “Sbarbo” Cavedoni
Interventi di Mauro Collina (pres. della Associazione Francesco Lorusso)
Voci in nERo L’Emilia-Romagna nelle pagine del noir
Un documentario di Riccardo Marchesini
Carlo Lucarelli, Loriano Macchiavelli, Grazia Verasani ed Eraldo Baldini raccontano il lato oscuro della loro terra
Una voce nella notte: è quella di uno speaker radiofonico che diffonde nell’etere le pagine di romanzi noir, dando voce ad alcuni dei più importanti scrittori di genere del nostro paese. Carlo Lucarelli, Loriano Macchiavelli, Grazia Verasani ed Eraldo Baldini descrivono le ambientazioni delle proprie storie, ritraendo un’Emilia Romagna oscura e misteriosa, in cui Bologna rivela tutto il fascino di una città celata e contraddittoria, che porta vive le ferite di una cronaca incancellabile.
Andrea Hajek
(Institute of Advanced Study, University of Warwick)
‘Mmmmm quanti, ma quanti ricordi mi evocano queste foto . . .’: Facebook and the 1977 Family Album: The Digital
(R)evolution of a Protest Generation
in
Italian Studies
Journal of The Society for Italian Studies
Volume 68 (2013)
Italian Studies was founded in 1937 as the journal of the Society for Italian Studies (SIS), the principal professional association of teachers of Italian and Italian studies in Higher Education in the UK and Ireland, whose aim is ‘to advance public education by furthering the study of Italy, Italian language, literature, thought, history, society, and arts in the United Kingdom and Ireland’ (www.sis.ac.uk).
Facebook and the Digital (R)evolution of a Protest Generation
Andrea Hajek
sul Blog Deliberately Considered.com
L’esperienza dei “Ragazzi del ’77” su Facebook sbarca in un blog di New York
In 2011, protests across the globe placed contentious politics at the heart of media attention. From the Arab Spring to the global Occupy movements, the world was caught in a rapid of rebellion. The role of new media in sparking, diffusing and connecting these protests did not go unnoticed.
But it’s not only the younger generations of protesters who increasingly have recourse to digital and mobile media in their activism. Old-timers are discovering new media technologies as well. This was exemplified in the recent publication of a series of photo albums on Facebook, containing hundreds of snapshots of Italian activists from a 1970s student movement, the so-called “Movement of ’77.” This was not the first attempt to reunite the 1977 generation, and yet, it has never been so successful. What makes Facebook different? Are we dealing with plain nostalgia here? I would rather argue that these digital photo albums, which open up a whole new perspective on the 1970s, as they turn attention away from dominant memories of terrorism and violence, have potentials in that they contribute to a more inclusive, alternative “history from below.”
In 2011, Time Magazine elected global activists “person of the year”. That same year, Italian student protests which had occurred 35 years ago revived on the web as photographer Enrico Scuro – class of ’77 – uploaded his photographic collection to Facebook. In doing so, he unchained enthusiastic reactions from former protesters, who tagged themselves into the photographs and left comments of all sorts. People also sent Scuro their own photographs, thus contributing to what has become something of an online family album, currently containing over 3,000 photographs. As they narrated personal anecdotes, complemented by other people’s recollections, the former protesters collectively reconstructed the (hi)story of a generation, a history not tainted by traumatic memories of terrorism and political violence – typical of the official and public version of the Italian 1970s. Furthermore, the Facebook rage led to a series of reunions outside the virtual world and, a few months ago, to the publication of a selection of the photographs in book form. So what made Facebook different from previous attempts to gather the 1977 generation?
Facebook helps individuals develop a sense of belonging to a wider community, for example by joining or “liking” groups. The online sharing of photographs reinforces this sense of belonging. It prompts acts of recollection in an interactive and public context, turning the photographs into an occasion for a collective and oral “show and tell,” like the real-life viewing of, say, holiday snapshots or family albums among family members and friends.
Indeed, Facebook reproduces orality in a very similar way as when you’re going through a photo album. The tags and comments, which read very much like spontaneous, real-life or telephone conversations, substitute the pointing out of people or places in an album. This effect is amplified by the use of a wide range of special characters, text symbols and emoticons.
Facebook also changes concepts of private and public, as personal stories and identities are shared in a collective setting. Some of the most intimate photographs in Scuro’s albums, for example, include snapshots of women during or shortly before/after child labour. But then private photographs are always also public and social, in that they depend on shared understandings and conventions.
Nostalgia inevitably plays an important role here. Unlike other European countries, the 1968 protests in Italy were not a one-off event, but extended well into theduring riots in March: terrorism and heroin rapidly disarmed the ’77 generation, leaving the former protesters with little more than beautiful memories and bitter critiques of Berlusconian politics.
But the albums don’t simply reply to the generation’s yearning for what is no longer attainable: nostalgia can also provide empowerment. The 1977 photo albums on Facebook then offer a positive and progressive sense of memory retrieval, as people or events that have been left out of official history are now re-inserted into a collective and alternative history from below, thus allowing for a more inclusive history of the 1970s.
It’s obvious, though, that these digital archives don’t fix memories in time, eventually. The options within Facebook to remove tags, comments and photographs, as well as to add tags without control, allow people to manipulate the past. This may explain why Scuro decided to publish a selection of the photographs in book form, thus bringing the digitized photographs back into the analogue sphere. This underscores the unstable character of social networks while demonstrating how people, in the end, prefer the material and tangible photograph to its digital counterpart. 1970s, culminating in 1977. In some locations, such as the popular university town of Bologna, the student movement of 1977 had a highly creative and fun-loving character. Things changed, though, after the violent death of a student
Bologna rende omaggio a John Cage
(1912 – 1992 – 2012)
Le foto fatte in occasione del treno di John Cage del 1978 illustrano la Rassegna
“centocage – Bologna rende omaggio a John Cage (1912 – 1992 – 2012)” che per tutto il 2012 propone un cartellone di attività dedicate alla conoscenza del compositore, nell’anno del centenario della sua nascita e del ventennale della morte.
La straordinaria storia di 50 anni di musica Rock a Bologna
a cura di Oderso Rubini
Sonic Press, 2012
Tutto quello che c’è da sapere sul rock bolognese, su oltre cinquant’anni di artisti, dischi, etichette, clubs, centri sociali, radio e varia umanità impegnata a fare e ad ascoltare musica all’ombra delle due torri, ora ha un titolo:
Largo all’avanguardia. La straordinaria storia di 50 di musica rock a Bologna.
Pubblicato dalla SonicPress, il monumentale volume curato da Oderso Rubini e compilato da Gianni Gherardi, Lucio Mazzi, Pierfrancesco Pacoda, Michele Pompei, Andrea Tinti e Angela Zocco, arriva a colmare un grande vuoto nella saggistica musicale locale e nazionale.
Le sue 432 pagine, le oltre 1500 fotografie, edite ed inedite, le decine di schede dedicate a gruppi e musicisti, le interviste, gli indici e la sua incandescente e ricchissima veste grafica, rappresentano la volontà di ricostruire, insieme a 50 anni di storia sonora della città, anche quella della stessa Bologna, attraverso interviste, testimonianze, approfondimenti che rendono questo racconto ancora più completo ed avvincente. Dai dancing ai centri sociali, dai Golden Rock Boys ai Massimo Volume, dal primo rock and roll, all’elettronica più estrema, ‘Largo all’avanguardia’ attraversando con ritmo incalzante più di cinque decenni di grandi eventi, conflitti generazionali, scontri istituzionali, fasti e disastri, è l’appassionante e caleidoiscopico ritratto di una città-laboratorio, fucina di talenti e idee che hanno alimentato il grande mercato discografico e generato i primi modelli di circuiti ed etichette indipendenti.
Il concerto dei Clash in piazza Maggiore, la delirante notte di Bologna Rock al palazzetto dello sport, la stagione delle occupazioni e quella degli sgomberi, la Traumfabrik di via Clavature, la Love Parade, l’epica rissa tra i fans dei Judas e quelli dei Jaguars, la “precipitosa” chiusura di Radio Alice: sono queste solo alcune delle incursioni nella cronaca di un cinquantennio di musica, che il libro (ispirato dal volume Bologna la Rock, pubblicato da Lucio Mazzi e Roberto Gandolfi nel 1991) offre agli occhi del lettore.
Largo all’avanguardia parte dal rock and roll per esplorare le sue successive ramificazioni: blues, funk, metal, progressive, punk, new wave, elettronica, hardcore, hip hop, reggae, canzone d’autore, indie-rock, jazz-rock, avanguardie, musica etnica e finanche musica bandistica si fondono in un unico, grande crogiolo che, dalla fine degli anni cinquanta ad oggi, non ha mai cessato la sua febbrile attività.
di Fernando Pellerano
sul Blog Dammi il Tiro – Corriere di Bologna
11 marzo 2012
Video-intervista
Dammi il Tiro ha incontrato Enrico proprio nel giorno 7dell’anniversario della tragica morte di Francesco Lorusso per farsi raccontare quale fotografia, fra le migliaia di quelle pubblicate, lui ama di più. Enrico ne ha scelte sei, e due non sono sue.
di Giuliana Scardino
L’Alambicco
febbraio 2012
di Beatrice Nefertiti
sul blog “LetterMagazine”
13 febbraio 2012
Un giorno qualunque di un anno di piombo. Cosa avete capito? Parlo del 2011, un anno qualunque del terzo millennio, un grano di quel rosario di tristezza che sto recitando sempre meno volentieri. Stavo cazzeggiando su internet tanto per passare il tempo e ho trovato la foto di una ragazza bionda, piccolina, magra, che monta la tenda su un prato. Mi è venuto un male, ero io. Luglio 1976, Gubbio, Umbria Jazz, i raduni giovanili degli anni Settanta, un pezzo del mio passato che non ero più sicura di aver vissuto veramente perché ero quasi convinta di essermelo inventato. Dopo tutti gli anni di lavoro, palazzacci, calci in bocca, deprivazione emotiva, disgregazione, sangue avvelenato, pensavo che quel ricordo fosse solo una fantasia autoconsolatoria creata per sopportare le mattine col vomito, le giornate spalle al muro a schivare le coltellate, le sere nascoste nella tana a bendare le ferite. A volte mi tornavano in mente gli anni dell’università a Bologna, gli amici, i concerti, i campeggi, e mi convincevo di aver sognato. Impossibile che ci fosse stato un tempo in cui ogni parola non veniva usata contro di me, in cui si stava insieme per il piacere di parlare, discutere, ridere, scazzarsi, o almeno senza volere in cambio il culo o il portafoglio. Mi dicevo “Tesoro, ti sei fatta troppe canne, la vita è sempre stata così, come adesso”.
Ho sfogliato tutto il sito, creato da Enrico Scuro, un fotografo trapiantato a Bologna dove era venuto a vivere negli anni Settanta per fare il DAMS, e ho trovato le prove che un’altra vita è stata possibile. Non mi ero fatta troppe canne, c’era anche la mia foto con la tenda a Umbria Jazz la sera che cantava Sarah Vaughan, e a quanto pare non ero stata la sola a ritrovare un pezzo di sé stessa. Enrico aveva pubblicato sulla sua pagina di Facebook la foto di Dario Fo al convegno contro la repressione del settembre 1977 a Bologna e centinaia di persone si erano taggate, a dire“Io c’ero”. Per me è stato come ritrovare il pezzo di vita che avevo dato per disperso e di nuovo, miracolosamente, dopo più di trent’anni, non ero da sola a provare un’emozione. Enrico aggiungeva le sue foto, l’occupazione dell’università, le manifestazioni, l’11 marzo, Radio Alice, e i commenti si univano ai ricongiungimenti, alla commozione, ai ricordi, alle discussioni riprese come se fossero state lasciate la sera prima sui gradini di San Petronio in Piazza Maggiore o ai tavoli di un’osteria, di quelle osterie dove allora si passava la sera in quindici con una bottiglia e non si spendevano trenta euro per due dita di vino e un’oliva all’ascolana. La pagina di Enrico è diventata il posto dove andavo la sera e incontravo persone che non avevo mai visto nella vita cosiddetta “reale” ma con le quali avevo ritrovato quel “comune sentire” perduto con la laurea e l’ingresso nell’allegro mondo del lavoro.
Quando gli album sono diventati tre, con 600 foto on line, Enrico ha invitato tutti ad aprire i cassetti; a fine ottobre le foto raccolte erano 3200 e i commenti erano diventati racconti, storie personali, scherzi, battute, riflessioni e anche liti, nel perfetto stile della generazione più rompicoglioni che sia mai stata creata, come ha detto Pino Cacucci alla presentazione ufficiale del libro, a Bologna, il 17 gennaio di quest’anno. Sì, perché da questo zibaldone è nato un libro. Come sia venuta fuori l’idea io non me lo ricordo, qualcuno ha cominciato a dirlo come per scherzo, intanto noi continuavamo a commentare le foto con i nostri pensieri e i nostri ricordi così come venivano e nasceva questa coperta patchwork, questo splendido “rammendo collettivo della memoria”, come lo ha definito Marzia Bisognin, una compagna che insieme a Paolo Ricci ha collaborato con Enrico Scuro alla realizzazione di quest’opera collettiva. Mi si perdoni il termine “compagno”, so che non va più di moda e di questi tempi è considerato ridicolo e quasi dispregiativo, un residuato di un’epoca che si vuole buttare via perché dà fastidio, un rigurgito di quando lavoratori e studenti lottavano insieme per migliorare le proprie condizioni di vita e non l’uno contro l’altro per peggiorare quelle del vicino. Vorrei usare questa parola nel suo significato più innocente, di persone che stanno insieme, che mangiano insieme, che magari facevano insieme un’ora di fila alla mensa in piazza Verdi, che sono cresciute insieme, perché eravamo dei cuccioli e come a tutti i cuccioli piaceva giocare e stare insieme. In fondo siamo l’ultima generazione che ha passato l’infanzia nei cortili e che poteva passare da casa di un amico senza dover prima telefonare.
Come ogni libro che si rispetti, anche questo è stato diviso in capitoli: le camere in cui alloggiavamo da studenti, il Settantasette, Radio Alice, l’11 marzo, l’omicidio di Francesco Lorusso e la strategia di innalzare il livello dello scontro proprio a Bologna, una città che andava “punita” per la sua diversità. E poi Piazza Verdi, i concerti, i viaggi, il convegno di settembre… Il libro si apre con questa frase: “Siamo stati e adesso siamo”. Mi permetto di riportare il commento con cui inizia la prima narrazione: “Forse è difficile spiegare quello che eravamo, ma non impossibile. […] Siamo stati, ma il tempo è andato avanti e si è svelato e rivelato. Siamo stati ma adesso siamo. Siamo stati ma adesso siamo il risultato di quello che eravamo, la somma delle nostre emozioni, dei nostri sogni, delle nostre certezze”. Siamo stati ma adesso siamo. Almeno, chi c’è ancora. La nostra generazione voleva volare, ma a volte la cera delle ali si è sciolta. Qualcuno è stato vittima dell’eroina che proprio in quegli anni, e a mio parere non per caso, veniva immessa in modo massiccio sul mercato; qualcuno si è fatto anni di galera magari solo per aver tenuto delle armi in casa e non aver fatto i nomi, perché a noi insegnavano che era da infami fare la spia; qualcuno è morto di AIDS perché eravamo convinti di aver conquistato almeno la libertà del nostro corpo ma non era vero. Chi è rimasto ha cicatrici di ferite guarite con fatica, o tagli ancora aperti e sanguinanti. Per i ragazzi di questo libro non è stato facile entrare negli anni Ottanta e nel peggio che è arrivato dopo, adattarsi al nuovo che è avanzato, prendere atto che le cose in cui credevamo erano solo favole, perdere l’identità collettiva. Come dice Gianni in un commento, “La paranoia e i comportamenti autodistruttivi sono venuti col manifestarsi dell’impossibilità del sogno e la conseguente batosta esistenziale”.
Ci sono foto di manifestazioni così affollate che un ragazzo nato vent’anni fa si potrebbe chiedere “Ma dove le hanno scattate? Al Cairo? Però è strano, ci sono anche le donne…”. Già, le donne. Il movimento femminista è il mio ricordo più vivo e l’eredità a cui sono maggiormente grata. Riconosco il privilegio di aver potuto vivere la libertà di quegli anni, io femmina, figlia di un operaio, cresciuta in una cittadina di provincia chiusa e tradizionalista. Se fossi nata dieci anni prima avrei fatto solo le elementari, al massimo l’avviamento, e a quattordici anni sarei finita in fabbrica o a lavare teste da una parrucchiera finché il primo cretino di passaggio mi avesse messo incinta, e con un po’ di fortuna ci sarebbe stato il matrimonio riparatore e una vita a crescere bambini e a prendere botte dal marito. Se fossi nata dieci anni dopo, mio padre operaio non avrebbe fatto sacrifici per farmi prendere una laurea universalmente nota come inutile, coi lavori “usa e getta” non sarei mai riuscita ad avere la mia indipendenza economica e sarei rimasta imprigionata nella casa dei miei. Per una volta nella vita ho avuto fortuna, sono cresciuta negli anni della speranza, dello Statuto dei Lavoratori, del sogno dell’operaio che vuole il figlio dottore, e con un po’ di sforzo anche la figlia, se manca l’erede maschio. Con la scusa dell’università ho abbandonato la famiglia e ho imparato a reggermi sulle mie gambe, in quegli anni era ancora possibile trovare un “lavoro fisso” e anche se faceva schifo non dovevo più chiedere ai miei il permesso per respirare. Dice Nadia in un commento “Dietro ai collettivi femministi et similia, si sperava di saltare con un solo balzo migliaia di anni di cultura maschilista e di posizione femminile, per il semplice fatto di parlare di “liberazione sessuale”, di “compagni” e di “convivenza” di cui ci hanno ringraziato generazioni di maschi mammoni”, però noi ragazze abbiamo avuto la possibilità di stare lontano da casa e di imparare a tenere la testa sulle spalle e a rendere conto dei risultati, pena il ritorno forzato dal padre padrone che avrebbe tagliato i finanziamenti. In quegli anni ho potuto dare sfogo pienamente alla mia natura nottambula, a Bologna si era ancora sicure di notte, ma nel dubbio io giravo in bicicletta sotto i portici a fanale spento. Per una miope era un gran risultato, specialmente la volta in cui centrai in pieno un tale in mezzo alle gambe perché non lo avevo visto, e lo lasciai a tenersi le palle in mano mentre scappavo via con scatto da cronometrista.
E dopo? Come dice Anna, “Abbiamo commesso un grandissimo sbaglio, abbiamo abbandonato il campo, non abbiamo saputo difendere le conquiste”. Tante volte non abbiamo saputo difendere nemmeno noi stessi. E Valerio: “Stavano emergendo nuove soggettività antagoniste come i “non garantiti” i quali oggi non sono altro che i soggetti giovani e meno giovani precipitati dalle politiche neoliberiste di centrodestra e centrosinistra nel precariato sociale. Avevamo capito che era in corso l’inizio della globalizzazione, come la chiamiamo oggi. L’autonomia non era solo pistole. Per questo ci hanno fatto fuori”. Non voglio entrare nelle analisi storiche e sociologiche per le quali tanti altri sono molto più bravi di me, la mia è solo una piccola recensione personale, necessariamente di parte, perché io c’ero, e ringrazio il destino di esserci stata. Eravamo la generazione che voleva volare e abbiamo vissuto l’ultima rivoluzione romantica. Le foto di Enrico e quelle saltate fuori dai cassetti sono da vedere, non le posso descrivere, ma ho scelto alcuni commenti. Pani: “Ricordo quegli anni con molta intensità, pieni di scoperte e di passioni, allegria e dolore mescolati, sicuramente VIVI”. Orlando: “Mai abbiamo avuto questi sorrisi… e dove è finita tutta quella vita?”. Wolmer: “A pensarci adesso stavo così bene e non lo sapevo”. Paolo: “Perché eravamo così: una semplice e piccola comunità umana. Ma eravamo “ancora” una comunità: con le nostre ricchezze, le nostre miserie, le generosità, le meschinità, le creatività, le morbosità… il bello e il brutto”. Giancarlo: “Si usciva di casa al mattino e si pensava “chissà cosa succederà oggi”. Come quando si è in viaggio, da esploratori. Sensi aperti. E la sensazione di non essere soli. Esattamente il contrario di ora”. Sara: “Pur con tutte le contraddizioni, le paranoie, avevi davvero la sensazione di essere dentro la tua vita”. La spensieratezza, il sapersi ridere addosso, le scritte sui muri, “Mettete più crema nei krapfen”, “Comitato autonomo Ridi che la Mamma ha fatto i Gnocchi”, “Decreto lo stato di felicità permanente”, “Dite a Lama che l’amo”, le assemblee, il drago, via Belle Arti decorata dagli studenti dell’Accademia, i murales di via Zamboni. Come dice Giovanni, “dalla “creatività al potere” alla “finanza creativa”, e invece delle streghe son tornate solo le mignotte”. Una risata ci seppellirà, ci ha seppellito la merda.
Chiudo con Dom Ildefonso: “È come un marchio a fuoco, impossibile da cancellare. Ma attenti alla nostalgia dei bei tempi andati: potrebbe ritorcersi contro e il sol dell’avvenir al massimo ci potrebbe, oggi, abbronzare”. Non dimenticatevi che siamo anche la generazione illustrata da Andrea Pazienza, e come dice Augusto: “Cosa abbiamo da dare a tutti quelli venuti dopo di noi? L’integrità di non esserci fatti tritare da chi voleva obbligarci a stare o con lo stato o con le BR”. Un libro straordinario, per chi c’era, per chi avrebbe voluto esserci, per chi vuole provare a capirci.
di Enrico Carlini
sul blog Il contrabbandiere
11 febbraio 2012
A volte ritornano, o non sono mai andati via (l’underground in Italia e i ragazzi del ’77)
di Beppe Sebaste
su “Il Blog di Beppe Sebaste”
3 febbraio 2012
E’ un libro-piazza, reale e virtuale insieme
di Beppe Sebaste
Il Venerdì di Repubblica
3 febbraio 2012